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spalancò gli occhi rossi e vitrei, e s’alzò, col bimbo fra le braccia.

— Va a letto, — le impose la madre.

Ella guardò la porta e mormorò:

— Ah, egli non torna: egli non tornerà mai più. Mi pareva di aspettarlo...

— Va a letto, va a letto... — disse la madre, con voce rauca.

La spinse, prese il vecchio lume d’ottone, aprì l’uscio. La casetta era composta della cucina col solito focolare di pietra nel mezzo ed il forno in un angolo, e di due stanze miseramente arredate. Il letto di Giovanna era di legno, alto e duro, con una coperta di percalle rosso. Zia Bachisia prese il piccolo Martino, che pianse senza svegliarsi, e lo depose sul letto, cullandolo con le mani finchè Giovanna si fu coricata.

E quando Giovanna si fu coricata, a testa nuda, con le belle treccie annodate intorno al capo come un’antica romana, la madre la coprì con cura e poi andò via: ma appena uscita lei, la giovine sollevò la coperta e cominciò a lamentarsi. Era rotta dal dolore e dalla stanchezza, aveva sonno ma non poteva addormentarsi completamente: visioni confuse le passavano nella mente; e quasi non bastasse la sua angoscia, sentiva, a tratti, acutissimi dolori ai denti e alle tempia: ogni tanto le pareva che le venisse addosso un’ondata d’acqua bollente, e ne provava un terrore indefinibile.

Dalla stanzetta attigua, di cui lasciò aperto l’uscio, zia Bachisia la sentiva lamentarsi e deli-