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dalla porta una voce sonora. Era Isidoro Pane, un vecchio pescatore di sanguisughe, parente delle Era, che veniva a fare le sue condoglianze. Alto, con una lunga barba giallastra, gli occhi azzurri, un rosario d’osso alla cintura, un lungo bastone e un involto in cima al bastone, zio Isidoro sembrava un pellegrino: era il più povero e il più savio e tranquillo degli abitanti di Orlei. Quando voleva imprecare diceva:

— Che tu possa diventare pescatore di sanguisughe!

Era stato grande amico di Costantino, col quale tante volte aveva cantato in chiesa le laudi sacre; ed anzi le Era lo avevano designato come testimonio di difesa, perchè nessuno meglio di lui poteva dire le buone qualità dell’accusato; ma era stato scartato. Che mai contava, davanti alla giustizia grande e potente, un povero pescatore di sanguisughe?

Appena lo vide, Giovanna s’intenerì e ricominciò a singhiozzare.

— Sia fatta la volontà di Dio, — disse Isidoro, appoggiando al muro il suo bastone. — Abbi pazienza, Giovanna Era, non disperare di Dio...

— Voi sapete? — chiese Giovanna.

— Ho saputo. Ebbene? Egli è innocente, e ti dico che sebbene oggi l’abbiano condannato, domani può risultare la sua innocenza.

— Ah, zio Isidoro, — disse Giovanna, scuotendo il capo, — non credo più alla vostra fiducia. Ci ho creduto fino a ieri, ma ora non posso crederci più.