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altipiani melanconici sperduti in un mare di luce e di solitudine, sta il paesello delle Era, Orlei, nido di gente bella, forte e selvatica, dedita alla pastorizia e alla coltivazione del grano e del miele. I pascoli verdi, intersecati da roccie, in primavera folti di asfodelo e fragranti di menta e di timo, e i campi di frumento raggiungono e circondano il piccolo gruppo delle casette costrutte in pietra schistosa, lucente come argento brunito; e grandi alberi ombreggiano qua e là quel nido di quaglia posato fra il grano: in lontananza si vedono verdi linee di tamerici, foreste di timo e di corbezzoli, e gli sfondi infiniti dell’altipiano, stesi sotto un cielo chiaro di una dolcezza e di un tristezza indicibili. A destra, su questo stesso cielo, sorgono, come immense sfingi, azzurre al mattino, color lilla al meriggio, e violacee o bronzine alla sera, le montagne solitarie, rigate di foreste, animate di aquile e di avvoltoi.
Le Era giunsero al paese verso sera, quando appunto monte Bellu, il colosso delle sfingi, svaporava violaceo sul cielo cinereo. Il paesetto era già deserto e silenzioso; sul selciato rozzo delle strade il passo dei cavalli risonava come una pioggia di pietre.
I compagni di viaggio si sbandarono di qua e di là, e le due donne arrivarono sole davanti alla loro casetta che sorgeva in uno spiazzo sopra lo stradale. Un’altra casa, tinta di bianco, la sovrastava. Un gran mandorlo, accanto alla mu-
Deledda. Naufraghi in porto. | 3 |