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Giovanna raccontò l'incontro col marito, e voleva ricominciare a piangere, ma zia Porredda la prese per mano e la condusse in cucina.
— Oggi tu hai bisogno di forze, anima mia; mangia, mangia, — le disse, presentandole una tazza di caffè-latte.
Poi le due donne uscirono per andare alla Corte, e Paolo promise loro di raggiungerle.
— Coraggio! — disse zia Porredda. Giovanna sentì già la condanna del marito nella voce dell’ospite, e andò via a testa bassa, come un cane frustato: Paolo la seguì con gli occhi, poi disse una cosa strana:
— Sentite. Non passeranno due anni che quella giovine riprenderà marito.
— Cosa dici, dottor Porreddu? — gridò la madre, che quando s’arrabbiava chiamava il figlio col soprannome. — In verità mia, tu sei matto.
— Oh, mamma, io ho attraversato il mare! Speriamo almeno che mi scelga per suo avvocato!
— Quel giovinotto! — diceva Giovanna alla madre, mentre scendevano un ripido viottolo, — mangia come un cane, che Dio lo salvi.
Zia Bachisia camminava pensierosa, e rispose a denti stretti:
— Sarà un buon avvocato; rosicchierà i clienti fino all’osso: anzi li divorerà vivi e buoni.
Detto ciò tacquero entrambe. D’un tratto zia Bachisia inciampò in un sasso, e mentre in-