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Era alta, grossa, con la testa piccola, il viso minuto, d’un bruno acceso, la bocca rossa e gli occhi glauchi; non brutta eppure ripugnante. Non beveva mai, ma sembrava sempre ubriaca ed aveva la fissazione che tutti lo fossero. Continuò a ridere, e tornò a guardare nel ripostiglio.
— Non c’è niente, — disse, proprio niente. Io ho fame, sai?
— Se aspetti un momento, vado a prendere qualche cosa. Ma prima bisogna che tu mi dica...
Ella gli si volse contro, e cominciò a spingerlo mettendogli una mano sul petto, e con l’altra dandogli pugni tutt’altro che scherzosi.
— Ah, tu vuoi sapere... oh, coccodrillo, tu vuoi sapere?... Perciò sei entrato subito? Va, ritorna al fresco, agnello magro! Tu vuoi sapere? Tu credi si tratti di Giovanna Era, eh? e sei entrato per ciò, non sei entrato per me!...
— Lasciami, — egli disse, afferrandole la mano. — Tu picchi forte, che il diavolo ti picchi. Sì, sono entrato per ciò. Ebbene?
— Ed io non ti dico nulla, ecco!
— Mattea, non farmi adirare! — egli disse, con voce dolce. — Tu non sei cattiva. Ora vado... vado e compro quello che tu vuoi: cosa vuoi che compri? Che cosa?
Sembrava un bambino che si finge buono per ottenere ciò che desidera. Ed in quel momento desiderava acremente qualche cosa di acerbo, di crudele: desiderava la notizia che Brontu