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nella luminosità del mattino, la sentinella immobile e muta pareva una statua: un cespuglio verde accanto al muro accresceva la tristezza del luogo. Il portone verdognolo che di tanto in tanto si socchiudeva come la bocca d’una sfinge, s’aprì per inghiottire le due donne. Tutti là dentro, nell’antro orrendo, conoscevano le due sventurate; dal capo-guardiano, rosso e imponente, che sembrava un generale, all’ultima guardia pallida dai baffi biondi dritti, che aveva pretese d’eleganza.
Nell’andito buio e fetente si sentiva già tutto l’orrore dell’interno: le due donne non procedettero oltre; ma il guardiano pallido ed elegante venne a prendere il canestro, e Giovanna gli chiese sottovoce se Costantino aveva dormito.
— Sì, ha dormito, ma sognava, sognava. Diceva: Il peccato mortale.
— Ah, quel suo peccato mortale, che egli vada al diavolo!... — disse zia Bachisia. — Dovrebbe finirla!
— Mamma mia, perchè imprecate? Non è egli abbastanza maledetto dalla sorte? — mormorò Giovanna.
Ritornate fuori, aspettarono l’uscita dell’accusato. Quando Giovanna vide i carabinieri che dovevano condurlo alla Corte, cominciò a tremare convulsa; i suoi occhi neri s’allargarono, fissando il portone con uno sguardo pazzo. Minuti d’attesa angosciosa trascorsero: la bocca della sfinge si socchiuse ancora e fra i gendarmi dal viso grigio di granito e i lunghi