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del sole; ma ella non usciva mai, ed egli di giorno aveva paura di passare davanti alla casa bianca.

Un’altra sera, un sabato, sentì il riso di Brontu risonare nel portico, e, gli parve, anche il riso di lei. Gli occhi gli si offuscarono, e provò un senso di morte.

Intanto fingeva, non sapeva perchè; e tutti gli abitanti di Orlei gli sembravano nemici. Tutti, anche zio Isidoro Pane.

A volte si domandava stupito:

— Perchè sono tornato qui?

Era tornato perchè non poteva vivere se non lì, nella quiete infinita dell’altipiano chiuso dagli sfondi dell’orizzonte solitario, sui quali i selvaggi boschi di corbezzoli stendevano una nuvola verde.

— Me ne andrò, — diceva a zio Isidoro. — Ho scritto al mio amico Burrai. Egli può tutto, sapete: se anche fossi stato colpevole, egli mi avrebbe fatto graziare dal re.

— Questo me lo hai già detto, — rispose un giorno Isidoro, mentre stava con le vecchie gambe scarne e pelose entro l’acqua giallastra. — Ora sono seccato di sentirtelo ripetere: ma intanto quello non ti risponde.

— Egli cercherà il posto per me. Sì, me ne andrò. Ma ditemi la verità: perchè il prete vuole che me ne vada? Ha paura che io ammazzi Brontu Dejas?

— Sì, per ciò appunto.

— No, non è per questo. Io gli dissi: prete