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lestarlo, ed egli cominciò a girare per il paese senza esser più oggetto di curiosità a nessuno.

Coi denari guadagnati nella reclusione si provvide di cuoio, suola e spago, ma non si metteva mai a lavorare. Ogni giorno comprava carne, frutta e vino, mangiava e beveva molto, e pretendeva che Isidoro lo imitasse. Gli pesava l’ospitalità del pescatore, aveva paura che nel paese si credesse ch’egli viveva di scrocco, e teneva a mostrarsi generoso con Isidoro e con tutti. Conduceva alla bettola frotte di conoscenti, li ubriacava, si ubriacava anche lui, ed allora cominciava a raccontare la sua vita al reclusorio, e ingrandiva le cose in modo straordinario.

Così i suoi soldini se ne andavano, e quando Isidoro lo sgridava, egli diceva:

— Ebbene, io non ho figli, io non ho nessuno a cui pensare. Lasciatemi in pace.

D’altronde contava sull’eredità dello zio assassinato, eredità che i parenti promettevano di restituirgli senza ricorrere alla giustizia.

— Allora, — diceva, venderò tutto, e me ne andrò. A voi darò cento scudi, zio Isidoro.

Ma il povero uomo non voleva niente. Voleva soltanto che Costantino ritornasse quello che era prima della disgrazia, buono, laborioso, non finto.

Perchè il vecchio sentiva che il disgraziato fingeva, e ne provava un dolore profondo, spesso però lo sorprendeva con le lagrime agli