Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 216 — |
biancheggiava l’alba lucida della luna; la via lattea attraversava il cielo come una strada bianca e deserta.
Un albore fantastico circondava le montagne; si distingueva il sentiero, le macchie apparivano compatte come greggie nere; e nel silenzio immenso vibrava solo il singulto prolungato del cuculo.
Costantino mangiò e bevette; poi si arrovesciò sul ciglione e per un momento fissò lo sguardo nella solitudine profonda di quella strada chiara che solcava il cielo. Poi chiuse gli occhi; provò il benessere del cibo, del vino e del riposo, e si sentì allegro come al principio del viaggio.
Ed ecco, appena chiusi gli occhi, rivide i suoi compagni di pena, e provò la sensazione fisica di trovarsi ancora a lavorare le scarpe. E sentì una gioia infantile pensando alle cose che aveva da raccontare ai suoi amici d’Orlei. Bisognava alzarsi, riprendere il viaggio, arrivar presto.
Ma non si mosse. Visioni confuse passavano nella sua fantasia; il re di picche cavalcava un asino e attraversava la via lattea; e d’un tratto gittò uno, due, tre gridi, chiamando Costantino: Costantino aprì un occhio velato, lo richiuse, lo tornò ad aprire.
— Stupido, è il cuculo, — pensò. — vado, sì... vado, vado...
E si addormentò.
Quando si svegliò, la luna già alta guardava sulle montagne; e col suo chiarore azzurrognolo