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lontananze, che il suo viaggio fosse inutile, vano. Egli camminava invano: non aveva più patria, nè casa, nè famiglia; egli non sarebbe arrivato mai, mai a nessun posto. E gli sembrava di essere smarrito in un deserto infinito e cinereo come il cielo disteso sul suo capo, dove le stelle si accendevano come fuochi di viandanti solitari, ignoti gli uni agli altri, smarriti come lui nella vana libertà di un deserto.
Eppure egli non si rattristava pensando a Giovanna, alla felicità perduta per sempre, alle disgrazie che un ingiusto destino gli aveva mandato; queste tristezze gli avevano già tanto macerato l’anima ed il corpo che formavano il fondo stesso del suo essere, tal che gli pareva di averle dimenticate, come si dimentica la veste che si ha indosso; ma lo rattristavano certi ricordi lontani, di cose materiali che aveva lasciato e che non ritroverebbe più.
Ricordava con intensità lo spiazzo davanti la casa di Giovanna, le pietre del muricciuolo dove sedevano assieme nelle sere d’estate, e sapratutto ricordava il letto alto ed ampio dove riposava, vicino a lei, dopo la giornata faticosa. Ecco, gli sembrava di ritornare, stanco, dopo una di quelle lontane giornate; ma non aveva più dove andare a riposarsi.
Giunto sull’alto d’una china sedette e aprì la bisaccia.
La notte era scesa, ma chiara e diafana; ad oriente, fra i monti che nascondevano il mare,