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giavano come note di flauto nell’immenso silenzio della valle, quasi fondendosi con la fragranza dei narcisi e delle ginestre. E dei narcisi e delle ginestre i grandi cespugli fioriti s’abbandonavano sul l’orlo dei ciglioni, come intenti a guardare il fondo della valle.

Una fata benigna era passata, stendendo tappeti d’oro, di fiori violetti e rosei. I radi alberi ridevano e bisbigliavano alla brezza.

Era appena tramontato il sole. Il cielo ad occidente aveva il colore della pesca matura, mentre ad oriente ed a nord le montagne spiccavano come enormi pietre preziose sopra una fascia di raso lilla.

Costantino Ledda, scarcerato poche ore prima a Nuoro, ritornava a piedi al suo paese, scendendo la valle senza affrettarsi, con una piccola bisaccia di tela sulle spalle. Qualche volta si fermava, guardava di qua e di là del sentiero, pensava:

— Oh, oh, la valle mi sembra più piccola, adesso: sarà perchè ho veduto il mare.

Era invecchiato, sbarbato, molto bianco in viso, ma senza quell’aria tragica che gli sarebbe convenuta. Ritornava solo ed a piedi perchè non aveva avuto modo d’indicare il giorno preciso della sua liberazione; altrimenti qualche parente o qualche amico non avrebbe mancato d’andargli incontro. Inoltre l’impazienza di rivedere il paesetto lo urgeva.

Scendeva, scendeva. Era quasi allegro, forse perchè a Nuoro s’era provveduto di un fiasco