Pagina:Naufraghi in porto.djvu/213


— 207 —

sè stessa, doveva recarle un’altra pena più grande ancora: la denunzia del delitto.

Ma la cosa più triste, per zia Anna-Rosa, era che il malato s’accorgeva dell’angoscia di lei.

Infatti, al terzo giorno della malattia, Isidoro portò con gran mistero una medicina preparata dal sagrestano. Questa medicina era composta d’olio d’oliva entro cui avevano galleggiato tre scorpioni, un centopiedi, una tarantola, un ragno, un fungo velenoso: guariva qualsiasi puntura. Zia Anna-Rosa unse subito la mano gonfia e livida del malato: ed egli lasciò fare, guardando attentamente la mano, ma poi disse con voce calma:

— Perchè mi curi, Anna-Rò? Non vuoi che muoia?

Ella si sentì spezzare il cuore.

— Fatto anche questo! — disse poi Giacobbe, guardando Isidoro. — Ma se io non morrò, come farete voi?

— Dio ci penserà; sta tranquillo.

Egli tacque un poco, poi disse: — Andrete assieme dal giudice?

— Cosa?

— Dal giudice. Ora fa freddo, però: il viaggio è lungo. Ebbene, Anna-Rosa, non viaggiare a cavallo, sai? Va in carrozza, a Nuoro.

— Per che cosa? — ella domandò irritata.

— Ebbene, per il giudice!

Ella lo sgridò, poi uscì in cucina e pianse amaramente.