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e così scherzoso che quando un amico si sentiva di malumore cercava la sua compagnia.
La donnina s’inteneriva pensando al vecchio padre morto; ma, ecco, un’orrenda nuvola le oscurava la mente, e tutto il suo visetto si raggrinziva per l’orrore di un pensiero.
Che anche il vecchio allegro, il vecchio santo, abbia commesso qualche delitto?
Non c’era più da fidarsi di nessuno, nè dei vivi, nè dei morti, nè dei vecchi, nè dei fanciulli. Poi zia Anna-Rosa piangeva, si batteva il petto col piccolo pugno, si pentiva dei suoi dubbi orrendi; e andava presso il malato, ed il malato, col suo viso solcato dalla sofferenza fisica e gli occhi che pareva supplicassero la morte di risparmiarlo, le destava una grande, infinita pietà, una tenerezza materna, un dolore senza nome.
Era più che mai il suo fratellino, adesso, così raggomitolato sull’immenso letto; così spaventato, così rimpicciolito dal male; e mentre tutte le cose, tutte le persone, e persino i morti più sacri, e persino i fanciulli innocenti, destavano in lei dubbi atroci, diffidenze amare, rancori profondi, lui solo ravvivava la sua pietà, la sua tenerezza, il suo amore. Ed intanto doveva vederlo, lo vedeva morire, e doveva desiderargli la morte; e curandolo con tenerezza attenta, doveva desiderare che i medicamenti, che le cure, che tutto fosse inutile. E questa morte, questa cosa orribile che ella doveva desiderare al suo «fratellino», oltre il dolore profondo per