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— Può venire San Costantino... aaa daarvi unaaa poesiaaa... — canterellò Giacobbe, con le labbra umide di bava. — Ah, tu non l’hai veduto, San Costantino? Ebbene, ecco come è pazzo Isidoro Pane: non la vuole... non la vuole... eeee...
— Zitto tu! — disse zia Martina — Ed intanto l’ovile rimane abbandonato! Così tu fai gli affari del padrone? Ah, razza maledetta! Ladroni! — Giacobbe si alzò, pallido, rigido: Giovanna ebbe paura che egli si gettasse contro la vecchia, e le si pose davanti.
Giacobbe tornò a sedersi, senza aprir bocca; ma aveva destato tale terrore in Giovanna, che essa rimase vicino alla suocera in alto di difesa.
Allora toccò a Brontu prendersela con la madre.
— Che modi son questi? Voi trattate la gente come... come... fossero bestie... tutti bestie... Oggi, oggi, sì, oggi era festa. E se colui s’è voluto ubriacare? Cosa ve ne importa?
— Io sono ubriaco di veleno! — disse Giacobbe.
— Sì, di veleno! E anch’io! — riprese Brontu. — Oramai sono stufo; sono stufo di madri, di mogli, di tutto, ecco. Io me ne vado, ecco. Vado a stare nel suo palazzo. Dopo tutto siamo parenti, e... e...
— E dillo dunque! — urlò Giacobbe, — Tu conti sulla mia eredità! Ah! Ah! Eh! Oh!
Ricominciò a ridere, un riso urlante, per dir così, che destava orrore. Ed anche Brontu si