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Uomini col capo scoperto, teste calve lucide di sudore, capelli neri unti, capelli neri ricciuti e lanosi, — teste di donne coperte da grandi fazzoletti di lana fiorili, macchie gialle e rosse, chiazze verdi, — il candore delle camicie sui petti delle donne, — visi rosei, — mani rosee, — occhi scintillanti, — labbra che si muovevano, — poi un vecchio zoppo, — una donna con due bambine, — tre vecchie, — un fanciullo con un fiore giallo in bocca, — riempirono la strada, — s’allontanarono, — dileguarono coll’ondulare melanconico e grave del canto religioso. Un gatto mostrò le sue zampine, poi sporse il visetto bianco dai grandi occhi azzurri, poi saltò sul muro in faccia alla casa di Giacobbe.

— Troppo tardi! — gli disse Brontu, facendogli un cenno di saluto.

Tutti ricominciarono a ridere e urlare: Giacobbe li pregò di andarsene, e poichè gli amici non obbedivano, finse di scacciarli con un bastone sporco di calce. Allora quegli uomini neri, robusti, selvaggi, cominciarono a correre di qua e di là per le stanze, per la scala, spingendosi per le spalle, rotolando, gridando, ridendo come bambini; e proseguirono il giuoco anche nella strada, dopo che Giacobbe ebbe chiuso a chiave la porta del palazzo: poi, tutti assieme, ritornarono nella bettola.

Brontu ed il servo rientrarono a casa sull’imbrunire, sostenendosi a vicenda.

Zia Martina stava nel portico, sola, con le