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ruppe Giacobbe. — Ma voi siete così pezzente che non potete neppure pensare che io non scherzo.

— Senti, — disse Isidoro, — oggi tu mi hai dato da mangiare, e per così poco vuoi spassarti alle mie spalle. Ebbene, lasciami tranquillo, se vuoi che io ti resti grato.

Giacobbe lo guardò fisso, si mise ancora a ridere, poi disse:

— Andiamo a bere, adesso.

Uscirono: Giacobbe s’avviò alla bettola, ma Isidoro non volle seguirlo, anche perchè doveva recarsi in chiesa.

Nella bettola il servo trovò Brontu ed altri che giocavano alla morra con le braccia tese nervosamente, gridando i numeri con quanto fiato avevano in gola.

Molto prima delle cinque, ora nella quale doveva cominciare la processione, tutti erano ubriachi. Giacobbe lo era più di tutti; pure s’arrogò il diritto di prendere sottobraccio il padrone, sembrandogli che Brontu dovesse di momento in momento cadere. Poi invitò tutti quelli che si trovavano nella bettola ad andare nel suo palazzo per veder la processione.

E così le grandi stanze vuote risonarono di voci rauche, di risate incoscienti e di passi malfermi; le finestre si spalancarono e si riempirono dei visi barbuti, rossi, selvaggi.

Giacobbe e Brontu s’affacciarono alla finestra dove s’era appoggiato il pescatore: il sole era calato, ma il davanzale restava caldo; e sotto,