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l’aria ondeggiava l’odore delle macchie e delle pietre bagnate. Le viuzze erano piene di rena e di fango, ma Giovanna aveva le gonne cortissime e le scarpe così grosse che traevano un’eco metallica dalle pietre. Brontu se la prese sotto braccio e cominciò a raccontarle fandonie come usava spesso per divertirla.
— Zanchine (era uno dei contadini che lo servivano) ha trovato, sai che cosa ha trovato? Un bambino.
— Quando?
— Ma oggi, credo. Zanchine sta estirpando un lentischio quando sente gnuè, gnuè. Guarda. È un bambino di pochi giorni. Ciò poco male; ma ora viene il bello. Ecco una piccola nuvola avanzarsi per l’aria e piombare, ingrandendosi, su Zanchine e rapirgli il bambino. Era un’aquila... Sì, quest’aquila doveva aver rubato il bambino in qualche posto, lo aveva nascosto nella macchia, e vedendo Zanchine che prendeva la creatura è piombata, e...
— Va! — disse Giovanna. — Io non ti credo più.
— Che tu possa vedermi ricco se non è vero...
— Va! Va! Va! — ella ripetè un po’ irritata. Brontu sentì ch’ella, invece di divertirsi, diventava nervosa e le domandò se aveva fatto cattivi sogni. Ella ricordò il sogno avuto, e non rispose. Così giunsero di là dal paese, vicino alla casetta di Isidoro Pane. La luna s’affacciava come un grande viso d’oro sull’oriente d’un celeste argenteo; e la terra nera,