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come sei buono a farti rispettare da queste immondezze di servi.

— Io gli frenerò altro che la lingua! Intanto stasera voleva ritornare. No, rimani lì e crepa. Tornerà domani mattina.

— Ah, domani mattina! Ma neppure domani mattina! Ah, figlio mio, tu ti lasci derubare impunemente. Sei buono a nulla.

— Dopo tutto, — diss’egli, alzando la voce, mentre continuava a pettinarsi, — domani è l’Assunzione, e Giacobbe è nostro parente. Finitela. Ecco, Giovanna, ora son bello.

Le sorrise, mostrando i denti. Era bello infatti, pulito, coi capelli lucenti. Giovanna si sentì intenerire; ed egli si mise a canterellare una canzonetta puerile che usano i bambini quando piove.

Proghe, proghe,
s’achina cochet
e’ i sa icu.1

Poi cenarono tutti lieti e contenti: zia Martina, con la scusa che non aveva appetito, mangiò pane, cipolle e formaggio, — cibo del quale, d’altronde, ella era ghiotta. Dopo cena Brontu volle che Giovanna uscisse con lui a far due passi, e andarono a zonzo, senza meta, per le viuzze deserte del paesetto: il cielo s’era fatto limpidissimo, qualche stella filante lanciava il suo filo d'oro sull’orizzonte di cristallo, e nel-

  1. Piove, piove
    l’uva matura
    e il fico....