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E guardava disperatamente il cielo, ma non smetteva di filare, mentre Giovanna cominciava a preparare la cena. Nell’ascoltare il fragore della pioggia anche lei si sentiva inquieta, non per il marito, ma per qualche cosa di indefinibile come un pericolo ignoto. D’un tratto il chiarore giallo che aveva accompagnato l’acquazzone si fuse con una luce azzurrognola che veniva dall’occidente: la pioggia cessò di botto, le nuvole s’aprirono, si divisero, se ne andarono, le une sulle altre, le une dietro le altre, come gente che si disperde dopo una grande riunione in piazza: per l’aria rinfrescata si diffuse un bagliore glauco, un odore di terra e di erbe secche bagnate, e risonarono canti di galli che credevano fosse l’alba. Poi silenzio. Zia Martina filava sempre nel portico, nera sullo sfondo glauco del crepuscolo; Giovanna accendeva il fuoco, curva sul focolare, quando sentì un nitrito venire per l’aria con un tremore che le si comunicò stranamente: tremando ella si sollevò e guardò fuori. Brontu tornava ed ella aveva paura; di che? di tutto e di niente.
Nella casetta di zia Bachisia s’era acceso un punto giallo, e si vedeva la vecchia ricacciar con una scopa di ginestra l’acqua che aveva inondato il limitare. L’orizzonte, dietro i campi giallognoli, pareva una linea di mare, verde, tranquillo; e su tutte le cose, anche sull’orizzonte, dominava il mandorlo stillante acqua. A fianco del mandorlo, all’ultimo barlume del