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marito; io non ho appetito. Ah, davvero, — proseguì, rivolta a zia Bachisia, — non ho appetito, tutti questi giorni. È il tempo, forse.
— È il diavolo che ti fori la schiena: è l’avarizia che non ti permette di mangiare, — pensò l’altra. Giovanna taceva e non si muoveva, assorta in un cupo sogno.
— Domani avremo il panegirico, dunque, alle undici: è un’ora incomoda, in verità. Ci andrai tu, Giovanna? Gli altri anni lo facevano alle dieci.
— Io non andrò, — rispose Giovanna con voce monotona. Adesso ella si vergognava di andare in chiesa.
— Sì, a quell’ora fa assai caldo; è meglio che tu non vada. Ma, se non mi inganno, piove, — disse poi zia Martina, e tese la mano. Una grossa goccia d’acqua sporca cadde e si sparse sul dorso livido della sua mano. Subito altre goccie caddero sul mandorlo immobile e per terra, scavando piccole buche nella rena dello spiazzo. Eppure il cielo parve rischiararsi, d’uno splendore giallognolo: sullo sfondo delle nuvole grigie passava una grande nuvola gialla che pareva una enorme spugna pregna d’acqua.
Le donne si ritirarono, e subito cominciò a piovere dirottamente, ma una pioggia dritta, sonora, d’una violenza solenne, senza vento nè tuoni; durò solo dieci minuti, ma allagò tutto il paese.
— Oh Dio, o San Costantino, o Santissima Assunzione! — gemeva zia Martina. — Se Brontu è per via s’inzupperà come un pulcino.