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— Non muteranno affatto. E almeno, almeno... non avessi fatto dei figli! Essi mi legheranno a questa pietra che mi trascina e mi schiaccia. Ebbene, volete sentirlo? Il mio vero marito è Costantino Ledda...
— Tu vacilli, anima mia! Taci, o io ti turo la bocca...,
— ... e se anche torna io non potrò riunirmi a lui perchè avrò dei figliuoli...
— E io ti turo la bocca! — ripetè zia Bachisia, fremente, alzandosi in piedi: e tese la mano, come per eseguire l’atto: ma non ce ne fu bisogno, perchè Giovanna vide la suocera attraversare lo spiazzo, e tacque.
Zia Martina camminava e filava, e s’avvicinò lentamente alle due donne.
— Al fresco? — disse, guardando sempre il suo fuso girante.
— Bel fresco! Si muore dal caldo. Ah, stanotte però pioverà, — rispose zia Bachisia.
— Pioverà certo. Purchè non tuoni: io ho tanta paura dei tuoni. Il diavolo scarica i suoi sacchi di noci, allora. Speriamo che Brontu torni presto. Che faremo da cena, Giovanna?
— Ciò che volete.
— Tu stai lì? Non ti farà male? Forse ti farà male.
— Che volete che mi faccia?
— L’aria della sera è sempre nociva. È meglio star dentro; così, intanto preparerai da cena. Ci son delle uova, figliuola mia, uova e pomidoro. Ebbene, preparale per te e per tuo