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ne era pazzamente innamorato, tanto che quando s’ubriacava, correva da lei, s’inginocchiava, e cantava certe preghiere puerili imparate nella sua infanzia. Poi piangeva perchè si accorgeva di essere ubriaco, e giurava che non avrebbe bevuto mai più in vita sua.

Quella sera era perfettamente sano, e parlava tranquillo, avvolgendo Giovanna con un continuo sguardo appassionato. Sorrideva, e i suoi denti splendevano al riflesso del fuoco.

Zia Bachisia cominciò a raccontare le avventure del viaggio; parlò dell’avvocato, delle ali che usavano le signore, della cucina dei Porru, dell’uomo sconosciuto incontrato per strada; ma non riferì la discussione avuta con zia Porredda nè parlò delle compre fatte, sebbene indovinasse la smania e la curiosità di zia Martina, e ardesse anch’essa dal desiderio di mostrare le belle cose acquistate.

— E tu cosa dici, Giovanna? — domandò Brontu, frugando il fuoco col suo bastone. — Sei pensierosa stasera: che hai?

— Sono stanca — ella rispose; e improvvisamente domandò notizie di Giacobbe Dejas.

— Quel matto? Mi tormenta di continuo. In verità, finirò col dargli una pedata. Già egli non ha più bisogno di fare il servo.

— Io non so — disse zia Bachisia — prima era un uomo tanto allegro; ora ha casa, bestiame, e dicono che stia per prender moglie anche lui, ma è d’un umore!... Voi sapete che voleva bastonarci.