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Anche la vecchia si svegliò e guardò subito i vetri.
— Ah, farà una bella giornata! — disse soddisfatta.
Si alzarono. Zia Porredda era già in cucina; cortese e premurosa servì il caffè alle ospiti, e le aiutò a sellare il cavallo. Pareva non ricordasse il discorso della sera prima, ma appena le due donne furono partite fece in aria un piccolo segno di croce; le sembrava che con loro andasse via il peccato mortale.
— Alla buon’ora. Buon viaggio, e il Signore vi aiuti — disse, chiudendo il portone.
Questa volta le Era viaggiavano sole; dovevano scendere la valle, percorrerne il fondo, risalirla e poi salire le montagne i cui picchi coperti di neve, d’un bianco metallico, si disegnavano crudamente sull’orizzonte.
Faceva freddo; non spirava vento, ma l’aria era tagliente, e un silenzio indescrivibile regnava nella grande vallata selvaggia, accresciuto, anzichè rotto, dalla voce monotona di qualche torrente. L’erba invernale, corta e d’un verde intenso, incipriata di brina, copriva le chine di qua e di là dei sottili sentieri bruni; il musco umido odorava sulle roccie: una freschezza selvaggia ringiovaniva la valle; ma i radi alberi contorti e brulli sorgevano, di tratto in tratto, come eremiti nudi, esposti per penitenza al freddo e alla luce dell’aurora. Nei seminati la terra era nera, umida; e la linea delle muriccie coperte di musco saliva e scendeva