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— diceva la voce calda dello studente. — Io bene, grazie al Signore! Oh, mi dispiace tanto la vostra disgrazia: coraggio, chi sa? è domani la sentenza?
Entrò nella stanza dov’era apparecchiata la tavola, seguito dalle donne e dai bambini che la sua presenza intimoriva e divertiva nello stesso tempo: zoppicava alquanto, perchè aveva un piede più piccolo e una gamba un po’ più corta dell’altra. Perciò lo chiamavano dottor Pededdu (piedino), ed egli non se n’aveva a male, perchè, diceva, val meglio avere un piede più piccolo dell’altro che avere la testa più piccola di quella degli altri. Anche di statura era piccolo; il suo visino roseo e tondo con due piccoli baffi biondastri, sorrideva furbescamente all’ombra di un largo cappello a cencio.
Entrato nella stanza si mise a sedere sul letto, a gambe sospese, e attirò accanto a sè, uno per parte, il nipote e la nipotina che lo guardavano a bocca aperta, stringendoli a sè senza badarvi; la sua attenzione era tutta rivolta al racconto doloroso che gli faceva zia Bachisia; però di tanto in tanto osservava Grazia, la cui figurina alta e angolosa di adolescente veniva viepiù deformata da un vestitino nero troppo stretto. Gli occhi di lei, chiari e metallici, lo fissavano ostinatamente, avidamente.
— Ecco, — diceva zia Bachisia con la sua voce rauca, — il fatto andò così: Costantino Ledda aveva uno zio carnale, fratello del padre; si chiamava Basile Ledda soprannominato l’Av-