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zia legge i cattivi libri, i giornali indemoniati, e non vuole più confessarsi. Ah, quei libri proibiti! Io perdo il sonno pensandoci. Ebbene, ecco cosa voglio dire; Grazia legge i libri cattivi: Paolo, lo vedete, quello lì, il dottor Pededdu, quello lì ha studiato in continente, dove non si crede più in Dio: sta bene, cioè sta male, ma si capisce un poco perchè queste due creature non credano più in Dio. Ma noi che non sappiamo niente di libri, noi che non siamo stati mai in ferrovia — quel cavallo del demonio — perchè non crediamo più in Dio, nel nostro Signore buono che è morto per noi sulla croce? Perchè, domando io, perchè? Ma perchè? Perchè tu, Giovanna Era, vuoi sposarti con un uomo, mentre hai un altro marito?

Grazia, che sorrideva per le invettive della nonna, a quelle ultime parole sollevò il viso fattosi serio: Paolo, che intrecciava le punte della forchetta col coltello, sorridendo per le parole della madre, fece un atto brusco, e zio Efes Maria, col viso atteggiato a mascherone tragico, guardò maliziosamente Giovanna.

Giovanna arrossì, ma disse cinicamente:

— Io non ho più marito, zia Porredda mia: domandatelo a vostro figlio.

— Io non ho figlio; quello è figlio del diavolo! — disse la donna, sdegnata.

Ah, quasi quasi pareva che Giovanna desse la responsabilità dei suoi atti a Paolo, perchè egli aveva patrocinato la causa di separazione, e prometteva un prossimo divorzio.