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— Ecco — disse zia Bachisia, con accento d’invidia — questa cucina sembra una sala. Tu dovrai far accomodare così la tua cucina.

— Ah, sì, — ella rispose distratta.

— Anima mia, sì, sicuro! Comare Malthina è avara, ma bisogna che tu le faccia capire che i denari sono fatti per essere spesi. Ecco, una cucina così! È un paradiso, anima mia; questa è la vita!

— Se ella non vorrà spendere, padrona! — disse Giovanna. — I denari sono suoi — E sospirò.

La serva rise ancora, ma zia Porredda, che non voleva immischiarsi nei discorsi delle ospiti, si volse, severa e le impose energicamente di grattare il formaggio per i maccheroni.

— Che hai? — domandò zia Bachisia alla figlia, — perchè questi sospiri?

— Ah, ella ricorda! Non è possibile che non ricordi. Dopo tutto è una cristiana, non è un animale! — pensava zia Porredda.

Giovanna disse con rabbia:

— Ebbene, ecco, ci hanno imbrogliato. La tela non è buona, il panno è macchiato. Ah, quella macchia!

— Anima mia! — esclamò la serva, imitando la voce di zia Bachisia, mentre grattava il formaggio.

Zia Porredda sfogò contro la ragazzaccia tutta la sua ira, tutto l’orrore che le ospiti le destavano: le diede i nomi che avrebbe voluto dare a Giovanna, la chiamò svergognata, vile, mise-