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ba; e Minnìa si mise a piangere; la nonna si volse col mestolo in mano.

— In verità, io vi batto col mestolo, cattivi figliuoli. Aspettate, aspettate. — Li rincorse, ed essi scapparono nel cortile, andando ad urtare contro Giovanna e la madre.

— Che c’è, che c’è?...

— Ah, mi fanno disperare, essi sono indiavolati!... — disse zia Porredda dalla porta di cucina.

In quel punto una figurina nera si staccò dal portone socchiuso e disse con voce turbata:

— Essi tornano, nonna, eccoli...

— E lasciali tornare. Faresti bene, Grazia, a dar attenzione ai tuoi fratelli, che si azzuffano fra loro come pulcini.

Grazia non rispose, ma prese dalle mani di zia Bachisia il lume di ferro, lo spense e andò a nasconderlo dietro la panca di cucina. Diceva a bassa voce:

— Dovreste vergognarvi di queste lampade, nonna, ora che c’è zio Paolo.

— Ma che zio Paolo; credi che egli sia stato allevato nell’oro?

— Egli viene da Roma...

— Un corno! A Roma lumi come questi non ce ne sono, perchè l’olio lo comprano a soldi, mentre noi ne abbiamo delle olle colme.

— State fresca voi se credete ciò, — disse la ragazza, e tornò nel cortile palpitando nel sentire la voce del nonno e dello zio.

— Giovanna, salute, zia Bachisia come state?