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Ma un giorno Costantino non venne all’aria. L’ex maresciallo, saputo che il suo compatriota si trovava nell’infermeria, si sentì stringere il cuore in modo strano, e alla vecchia gazza che svolazzava intorno chiamando con voce nasale:

— Cos-tan-tì? — Cos-tan-tì?.. — rispose a voce alta:

— Su Costantino è caduto un fulmine.

Tutti i condannati gli si ammucchiarono intorno, curiosi di sapere; ma egli tese le mani in avanti, facendo atto di respingerli.

— Io non so nulla. Lasciatemi in pace!

— Fino alle nove, — disse uno di loro. — Costantino aveva lavorato coi calzolai; poi un guardiano era venuto a prenderlo, non si sapeva perchè: alzatosi di botto, con gli occhi spalancati, pallido e tremante egli aveva seguito il guardiano: e non era più tornato.

Per quanto visse, Costantino ricordò quel giorno. Era una mattina calda, annuvolata; e le nuvole pareva gravassero sulla camerata dei calzolai, gettando fino alla metà delle pareti una cupa penombra. I condannati, lividi, coi grembiuli di cuojo puzzolenti, erano di cattivo umore.

Uno di essi, che aveva paura dei morti, raccontava che nel suo paese si vedevano, nelle notti scure, correre entro l’acqua del fiume lunghi fantasmi liquidi e biancastri, e chiedeva a un compagno se ne avesse visti mai.

Mi no! Io non credo a queste stupidaggini!

— Ah, tu le chiami stupidaggini? — disse l’al-