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s’abbandonava a ricordi nostalgici della patria lontana.
— Sì, — diceva, — una volta passai vicino al tuo paese, o nei dintorni, non so. C’era un bosco di soveri, di cisti e di corbezzoli; su questi pareva fosse piovuto del sangue. E un odore, caro mio, un odore così forte che pareva di tabacco. Bada, c’è una croce sopra una roccia: si vede il mare lontano.
— Ah, ecco, è la foresta di Cherbomine. Ah, se la conosco! Una volta un cacciatore vide sulla roccia un cervo con le corna d’oro. Sparò, l’ammazzò. Nel morire, il cervo diede un grido umano e disse: la penitenza è finita. — Si crede avesse in corpo lo spirito di un uomo che aveva commesso gravi delitti. Fu messa la croce.
— E le corna, mio caro?
— Si dice che il cacciatore, avvicinatosi, s’avvide che le corna erano semplicemente corna!
— Pof! Pof! Come siete sciocchi voi altri paesani! Ah, ecco che la primavera viene! — disse poi il re di picche, guardando il cielo. — A me la primavera dà ai nervi. Sì, una volta ero anch’io cacciatore.
— Oh!
— Cacciavo negli stagni, vicino a Cagliari: ah, gli stagni! Parevano i frantumi d’uno specchio buttati qua e là dall’alto. Intorno c’erano tanti gigli violetti. E i fenicotteri passavano in lunghe file sul cielo così splendente che non si poteva guardare. Io chiudevo un occhio. Pum! Pum! Cadeva un fenicottero. Gli altri con-