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rabbiare. Sì, ti aspetterà per altri ventitrè anni, non dubitare!...
— No, io uscirò prima. E poi, caso mai... (e lo canzonava alquanto) non andrà dal re, lei, non mi farà dare la grazia?
— Sì, dal re. Proprio dal re! Tu non ci credi? Io andrò dal re: egli riceve tutti gli ufficiali; ed io non sono un ufficiale? Egli ama l’esercito: egli è buono; ho letto che si è ingrassato. Ah, ma non ingrasserà come me... — E rise.
Costantino tornava sempre sul suo argomento; l’altro sfuggiva sempre; ad ogni modo non lo tormentò più.
In quei giorni furono deposte cinque lire sul libretto di Costantino.
— È lui, è lui! — esclamò il condannato. — È il prete. Che uomo buono! Ma io non le voglio! No. Non le voglio.
— Tu sei stupido come un montone, — gli disse il re di picche. — Prendile, altrimenti egli si offende. Non le voglio! Si risponde così ai benefizi?
— Ma io ho vergogna. E poi che devo farmene?
— Bere, mangiare. Ne hai di bisogno, credilo pure. Tu vorresti mandarle là, laggiù, che il diavolo ti liberi? Se fai quella bestialità ti sputo sul viso. Vedi, essa non ti scrive più, neppure...
— Che ha da scrivermi? — disse Costantino, cercando di rassicurarsi. — Adesso avrà del lavoro, l’inverno finisce.