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zampa ferrata. In lontananza si udiva un canto melanconico.
La porta della cucina e quella d’una camera terrena, che per l’occasione serviva anche da stanza da pranzo, davano sul cortile ed erano spalancate. In cucina, accanto al focolare acceso, si vedeva zia Porredda intenta a condire i maccheroni; una bambina bionda, scarmigliata e scalza, litigava con un bambino vestito in costume, molto grasso e rosso come la nonna.
— Finitela, — diceva zia Porredda. — Ah, ah, volete finirla, figli cattivi?
— Mamma Porru, questa ragazzina impreca, mi dice: al diavolo chi ti ha fatto nascere.
— Ah, ah, Minnìa, tu andrai all’inferno viva e sana, — disse la nonna, senza voltarsi, rimescolando i maccheroni.
— Egli mi pizzica, mamma Porru, ahi, ahi, come mi pizzica!... Che tu sii scorticato, immondezza, se ti afferro ti dò tanti schiaffi quanti capelli hai sul capo...
— Minnìa, che parlare è questo?...
— Egli mi ha rubato il portamonete, quello che ci ha il papa dipinto, quello che mi ha portato zio Paolo...
— Non è vero, no! Non mi far parlare, Minnìa, — gridò il bambino minaccioso, — in quanto a rubare...
La bambina tacque come per incanto; ma dopo un po’ il bimbo prese un bastone e col manico ricurvo cominciò ad afferrarle una gam-