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sole quando non si ha da mangiare, quando si è malati e si soffre in tutti i modi?
Era da idioti, sì, ma egli qualche volta pensando così piangeva come un fanciullo.
Eppure sperava sempre. Gli anni passavano, i giorni cadevano lenti ed eguali, uno dopo l’altro, come goccie d’acqua in una grotta, dalla pietra sulla pietra. Quasi tutti i condannati, specialmente quelli che scontavano pene non troppo lunghe, speravano nella grazia, si divagavano contando i giorni passati e da passare, con precisione sorprendente, senza mai sbagliarsi di un giorno.
Alcuni spingevano la loro abilità fino a contare le ore. Costantino diceva che ciò era una cosa stupida, e sorrideva pensando che si poteva morire o si poteva venir liberati prima del tempo. Tutto stava nelle mani di Dio. Del resto anche lui contava d’esser liberato prima del tempo, ma il tempo era così lento, così lento a passare! Lo sentì bene quella mattina, allo svegliarsi palpando la carta calda della lettera di Giovanna.
Si alzò e si vestì sospirando. Il suo compagno di destra cessò di russare, aprì un occhio velato e stette a guardare Costantino come se non lo riconoscesse. Poi richiuse l’occhio e domandò:
— Ti senti male? Ah, è vero, tu hai il bambino malato. Perchè non lo dici al Direttore?
— Perchè devo dirlo al Direttore? Egli mi metterebbe in cella, ecco tutto, se sapesse che ricevo notizie così.