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nota bibliografica | 215 |
un’ingiuria — di sangue e di morte — non cesserà mai di toccarne di nuove. Piove sul bagnato: lagrime su sangue, e sangue su lagrime. Di quercia caduta ognuno viene a far legna. E tagliato l’albero, così grande e bello, perchè hanno a sopravvivere i novelli? E i novelli si strappano da tutti. Bisogna far piazza pulita. S’era detto dall’indifferenza degli spettatori che il delitto era grande, atroce, insuperabile? Gli spettatori ci mettono dell’amor proprio, a che il delitto resti, nelle conseguenze, grande, atroce, insuperabile. Quando vedono che il dramma devìa e sembra conchiudere con qualche conforto e con qualche rivendicazione, s’ingegnano anche loro, i buoni spettatori, perchè non vada sciupata quella loro lagrimuzza iniziale, se ci fu.
Quali tristi parole, o lettore buono, o soave lettrice! Ma io ve le ho volute dire, nè solo per giustificare questa divulgazione (che altrimenti mi sarebbe parsa invereconda) delle mie sventure, ma anche darvi come il filo che vi conduca sicuramente attraverso questi e altri andirivieni della mia anima. E il filo, eccolo. Io credo che il male di cui tutti soffriamo, e che è così aggravato da cercare impaziente le cure più strane e diverse, è un grande residuo di crudeltà che circola per tutte le vene della società umana, la quale non vorrebbe essere di belve. Oh! se ha a durar così, se questo residuo ha a continuare a essere tanto e tale, meglio aprir la gabbia sociale, in cui, trovandosi strette, le belve sono anche più feroci, e trovano più vicini i vicini su cui esercitare gli artigli e le zanne, e li trovano