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214 nota bibliografica

tutta la famiglia,

piangono; la pupilla umida e pia
ricerca gli altri visi a uno a uno
e forma un’altra lagrima per via.
Piangono; e quando un grido ch’esce stretto
in un sospiro, mormora, Nessuno!
cupo rompe un singhiozzo lor dal petto.

Levan le bianche mani ai bianchi volti;
che non alcuno, al pianto disusato,
sollevi il capo attonito ed ascolti.
Posa ogni morto, e nel suo sonno culla
qualche figlio de’ figli ancor non nato.
Nessuno! i morti miei gemono: nulla!

Oh! sia questo libretto, per ora, qualche cosa.

Livorno, gennaio del 1892.


Quella volta, insieme coi frammenti del Giorno dei morti, stampai anche altre poesie di dolore intimo e nascosto sino ad allora nell’intimità della casa. Le mie sorelle — Ida e Maria — vollero che le unissi alle altre. Diedi retta. Io pensai che quel dolore non mi apparteneva in proprio se non per lo strazio che ne soffrivo; ma che in realtà era di tutti, doveva essere di tutti. Doveva essere, e non era, e non fu mai nè di tutti nè di molti nè di pochi. Fu solo nostro, e accompagnato da un tale abbandono, da un tal disprezzo, da un tal odio degli altri, che mi inchiodò nel capo la convinzione che nella società umana il delitto si sconta sì e crudelmente e a lungo, ma dalle vittime, non dagli autori. Chi ha toccato una volta