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nota bibliografica 213

questo effetto, e più amara mi si rende quella sventura.

Non soggiacquero essi al destino comune e non li spense natura, coi suoi soavi strali, la quale concede ai superstiti il conforto e anche l’oblìo, necessario alla vita. Li uccise tutti, nel mio padre, la malvagità degli uomini, i quali finiscono la loro vittima, non l’annullano. Egli fu colpito nella strada, a qualche miglio da casa sua; ed egli è ancora per me (e anche per voi, che sapete) là; nella strada.

Non potere arrivare — singhiozza il mio povero babbo. Così piccole, così sole — sospira la mamma, morta di dolore. Non hanno essi della morte la requie, non si spense d’essi con la vita il dolore; questo (oh! solo questo) rimane d’essi. E intendo anche le vostre voci, o fratelli miei, Margherita, Luigi, Giacomo. Infelicissimi io vi sento e so tutti, e ho sempre contristata la vita dai vostri gemiti, che odo; poichè in me voi avete conservata metà della vostra vita, come io in voi ho perduta metà della mia.

Per questa causa non posso, per ora almeno, far sì che di voi, de’ quali si bisbiglia ancora appena, qua si pianga, e là, in tuguri o in palazzi, impallidiscano quelli che sanno, e pallidi restino sino alla morte. Ma per questo fine, non per la gloriola, la quale rifiuto come troppo meschino compenso della giustizia che la società mi deve, per questo io lavoro.

Intanto? Nel giorno de’ morti, i miei, nè donati nè visitati, in un canto del cimitero, uniti,