Dopo sementa, presso l’abituro
il casereccio passero rimane;
e dal pagliaio, dentro il cielo oscuro
20saluta le migranti oche lontane.
Fischia un grecale gelido, che rade:
copre un tendone i monti solitari:
a notte il vento rugge, urla: poi cade.
E tutto è bianco e tacito al mattino:
25nuovo: e dai bianchi e muti casolari
il fumo sbalza, qua e là, turchino.
La neve! (Videvitt: la neve? il gelo?
ei di voi, rondini, ride:
bianco in terra, nero in cielo
30v’è di voi chi vide... vide... videvitt?)
La neve! Allora poi che il cibo manca,
alla città dai mille campanili
scendono, alla città fumida e bianca;
a mendicare. Dalla lor grondaia
35spìano nelle chiostre e nei cortili
la granata o il grembiul della massaia.
Tornano quindi ai campi, a seminare
veccia e saggina coi villani scalzi,
e — videvitt — venuta d’oltremare
40trovano te, che scivoli, che sbalzi,
rondine, e canti; ma non sai la gioia
— scilp — della neve, il giorno che dimoia.