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84 benito mussolini

La risposta non mi ha convinto. La responsabilità delle guardie avanzate sulle linee del fuoco è terribile. Devono costituire una garanzia e una prima difesa per coloro che stanno dietro. Per fortuna, gli austriaci non prendono mai l’offensiva per i primi. Possono contrattaccare, ma «attaccare», no.

Verso mezzanotte, dopo sei ore di pioggia e di tuoni, si fa un grande silenzio bianco. E’ la neve. Siamo sepolti nel fango, fradici sino alle ossa. Simoni mi dice:

— Non posso muovere più le punte dei piedi. —

E la neve cade lenta, lenta. Siamo bianchi anche noi. Il freddo ci è penetrato nel sangue. Siamo condannati all assoluta immobilità. Muoversi significa «chiamare» la mitragliatrice austriaca. Vicino a me c’è qualcuno che si lamenta. Il tenente Fanelli lo redarguisce, con voce sommessa, ma il bersagliere risponde e c’è nella voce una invocazione quasi disperata:

— Tenente, sono gelato. Non mi «fido» più. —

E’ un meridionale. Ma anche il tenente, che è di Bari, deve trovarsi in critiche condizioni. Poco dopo, infatti, chiama me e il Simoni e ci manda insieme dal capitano per chiedere il cambio della guardia. Sono le quattro. La nostra guardia dovrebbe durare ancora quattordici ore.

Trovo il capitano nel suo riparo. Egli, insonne, veglia. Fuma. Si trovano in sua compagnia i sottotenenti Raggi e Daidone.

— Ebbene?

— Signor capitano, il tenente Fanelli mi man-