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il mio diario di guerra 81

qualche giornale. In guerra sono antitedeschi e belgofili. Quando il soldato brontola, non è più per il fatto «guerra», ma per certi disagi o deficienze ch’egli ritiene imputabili ai «capi». Io non ho mai sentito parlare di neutralità e di interventismo. Credo che moltissimi bersaglieri, venuti da remoti villaggi, ignorino l’esistenza di queste parole. I moti di maggio non sono giunti fin là. A un dato momento un ordine è venuto, un manifesto è stato affisso sui muri: la guerra! E il contadino delle pianure venete e quello delle montagne abruzzesi hanno obbedito, senza discutere.

Nei primi mesi della guerra, i bersaglieri hanno varcato il confine, cogli inni sulle labbra e la fanfara alla testa dei battaglioni. Dopo due mesi di sosta a Serpenizza, venuto finalmente l’ordine di riprendere l’avanzata, i bersaglieri hanno conquistato — al passo di corsa, malgrado un turbine di cannonate — la Conca di Plezzo e si sono trincerati a quattrocento metri oltre la città, che gli austriaci hanno poi, quasi completamente distrutta colle granate incendiarie. Quando i bersaglieri narrano gli episodi di quell’avanzata, vibra ancora nelle loro parole la soddisfazione e l’entusiasmo della conquista.

La vita di trincea — monotona e aspra — contrassegnata soltanto dallo stillicidio quotidiano dei morti e dei feriti, indurisce i soldati. Parlar loro, non si può. Riunire gli uomini in prima linea, per tener loro un discorso, significa esporli a un sicuro immediato massacro da parte dell’artiglieria nemica. E’ il «nemico», la presenza del «nemi-