Pagina:Mussolini - Il mio diario di guerra, 1923.djvu/61


il mio diario di guerra 53


scatoletta di carne. Pane buono e quasi a volontà. Di rancio caldo, non è questione. Gli austriaci — tempo fa — hanno bombardato coi 305 le cucine e hanno fatto saltar per aria muli, marmitte e cucinieri.

C’è un’ora nella giornata, che i bersaglieri attendono sempre con impazienza e con ansia: l’ora della posta che comincia a giungere regolarmente. Ci pensa Jacobone, per il Reggimento. Nostro «postino» è il calabrese Suraci. Quando si grida «posta!», tutti escono dai ripari e si affollano attorno al distributore. Nessuno pensa più alle fucilate e agli shrapnels.

Ho scritto una lettera per Jannazzone e una per Marcanico. Non si negano questi favori a uomini che possono morire da un momento all’altro. La fidanzata di Marcanico si chiama Genoveffa Paris. Questo nome mi riporta, chissà perchè, al tempo dei «Reali di Francia».


12 Ottobre.


Pulizia al fucile. Sole pallido. Poi, non c’è nulla da fare. Passano i soliti feriti. C’è il bersagliere Donadonibus che si spidocchia al sole.

— Cavalleria, a destra! Cavalleria, a sinistra! — grida e ride, di un riso che sembra quello di un uomo completamente felice.

Pioggia e pidocchi, ecco i veri nemici del soldato italiano. Il cannone vien dopo.

Uno dei feriti dello shrapnel è morto prima di arrivare all’infermeria reggimentale.