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il mio diario di guerra 43


tepido fa dimenticare le giornate piovose. Lo Slaienik — ingrossato — urla in fondo al vallone. Si distribuisce la posta. Finalmente, dopo quindici giorni, c’è qualche cosa anche per me. Nel trincerone che occupiamo si può accendere il fuoco. Ogni tenda ha il suo. Qui, l’unico pericolo — oltre a quello delle cannonate e delle pallottole vagabonde — è dato dai macigni che rotolano dall’Vrsig. Di quando in quando si sente gridare:

— Sasso! Sasso! —

Guai a chi non lo evita a tempo!

L’11° bersaglieri è stato rudemente provato, ma il «morale» dei soldati è eccellente. Anche i poilus dell’84 stanno cambiando psicologia. Diventano soldati. Sembrano già lontanissimi i primi giorni, quando bastava il rombo del cannone, il fischio di una pallottola o la vista di qualche cadavere per emozionarli. Distribuzione di alcuni indumenti invernali. Sono ottimi.


30 Settembre.


Ho portato — poiché li desiderava — alcuni numeri arretrati del Popolo al mio capitano Mozzoni. Era aiutante in prima; ha preferito riassumere il comando della compagnia. Uomo che conosce gli uomini, soldato che conosce i soldati. I bersaglieri gli vogliono molto bene. Non ha bisogno di ricorrere a misure disciplinari per ottenere che ognuno adempia il proprio dovere. Mi offre biscotti e tre