Pagina:Mussolini - Il mio diario di guerra, 1923.djvu/47


il mio diario di guerra 39


be altissimo. Bianco. A tremila metri. La posta. Per noi, richiamati dell’84, nulla. E’ triste!


25 Settembre.


Stanotte dalle 2,30 alle 4,¼ sono montato di vedetta per la nostra squadra che si trova a un posto avanzato. Era con me, altra vedetta, Barnini Washington, certaldese. Vero toscano del paese di Boccaccio: ogni parola, due bestemmie. Sono stato con orecchi ed occhi spalancati, ma nessuno si è visto. Quattro bombe sono scoppiate a pochi metri dal nostro posto. Luna velata da nubi bianche. Veniva dal burrone il tanfo dei cadaveri dissepolti. Il bel tempo è finito. Ieri, ancora il sole — un po’ stanco — del settembre; oggi la nebbia, la pioggia, il freddo dell’inverno. Turbinìo di foglie che cadono con rumore secco sui nostri teli da tenda. I miei compagni, della prima squadra, Pinna, Perella, Barnini, Simoni, Parisi, Di Pasquale, Bottero, Pecere, accovacciati come me sulla nuda terra, nel cavo di una roccia, dalla quale filtra l’acqua, sono silenziosi. Qualcuno dorme. Piove.


26 Settembre.


Piove sempre. Da ventiquattro ore. Io sento l’acqua fredda che mi lava la pelle e finisce nelle scarpe. Stanotte un nostro posto di collegamento di quattro uomini e un caporale è stato catturato