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32 benito mussolini

Non dobbiamo espugnare delle fortezze, dobbiamo espugnare delle montagne. Qui, il macigno è un arma e micidiale quanto il cannone!

Il vento della sera porta in alto il freddo e il fetore dei cadaveri dimenticati.

Notte chiara, di stelle.


20 Settembre.


Appena è giorno, il capitano mi chiama. Vado con lui alla trincea più avanzata. Riparato da due sacchetti di terra, posso guardare, con una relativa tranquillità, il luogo conteso. E’ uno spiazzo di forse 150 metri quadrati. Non più. Il «cocuzzolo» ha perduto i suoi connotati. E’ stato spianato, livellato dalle bombe e dalle mine. Macigni frantumati, grossi pali, fili di ferro, stracci di uniforme, zaini, borracce: segni delle tempeste. Gli austriaci sono a trenta metri — appena — da noi. Non si fanno vedere

Le nostre mitragliatrici non scherzano. Chi si scopre, è fulminato.

Un siciliano coraggiosissimo, tal Failla, sta oltre la trincea e getta bombe. Gli mancano, a un certo punto. Il caporale Morani gliele porta volontariamente.

E appena giunto che una bomba austriaca gli cade vicina. Per un momento non lo vedo più. Trepidazione. Ma ecco che si rialza e viene di corsa verso di noi. Mi cade fra le braccia. E soltanto ferito. Ha il volto sporco di polvere e di sangue. Le ferite sono alle gambe. Vuole che