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il mio diario di guerra | 235 |
Una sola era la sua preoccupazione: «Dimmi, Binda, riprenderò le funzioni dell’arto? Potrò ritornare in trincea?».
Passava il suo tempo studiando il russo e l’inglese e leggendo opere letterarie e politiche.
Nelle ore pomeridiane aveva la costante compagnia della sua Signora, della buone e gentile signora Rachele, e dei suoi figli Edda e Vittorio. Bruno non era ancora nato.
Durante la sua degenza all’Ospedale, non vi fu uomo politico — italiano o alleato — che, passando per Milano, non abbia sentito il dovere di porgere un saluto ed un augurio al nostro martire.
Aveva una parola affettuosa per tutti i suoi compagni d’ospedale, sui quali non voleva avere precedenza nell’attesa delle medicazioni.
Non ricordo più chi — dei grandi clinici o pensatori — ebbe a dire che la prima medicina per la guarigione è la volontà. Mai, come nel caso di Mussolini, ebbi a constatare la verità di questa affermazione.
Voleva guarire, voleva che la sua gamba riprendesse la funzione; e non c’erano dolori che lo fermassero nei suoi sforzi.
Nel suo corpo rimasero e tuttora vi sono, schegge all’omero destro, alla coscia destra, alle ossa della gamba destra e alla mano sinistra. E qualche volta si fanno sentire!
Nell'agosto, Mussolini lasciò l’Ospedale sorreggendosi con l’aiuto delle grucce,