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226 benito mussolini


Quali siano state le delusioni e l’amarezza provate arrivando, vi sarà facile immaginare. Trovai l’Ospedaletto, ma il ferito nostro non c'era! Perdetti così, inutilmente, la mia giornata, riuscendo tuttavia a sapere che il 46 era molto lontano: ad Aquileja.

Tornai alla mia residenza con l’anima in pena, sconfortato, avvilito. Mi restava una sola speranza: quella di avere un secondo permesso. E lo ebbi, infatti.

Ripartito stamani per tempo, autorizzato ad usufruire d’ogni mezzo di trasporto, mi diressi ansiosamente alla mèta. Marciai in tutti i modi, con tutti i mezzi: con camions, con carri d’artiglieria, con carretti carichi di materiale, in molti tratti... pedibus calcantibus. Ma marciai sempre.

Alle quattro del pomeriggio, a Sagrado, mi imbattei in Manlio Morgagni — il direttore amministrativo del nostro giornale — e nel collega Garinei del Secolo. Tornavano da una visita a Mussolini. Appresi da essi che l’eroico soldato aveva molta febbre e che l’Ospedaletto 46 non era più ad Aquileja, ma a Ronchi.


Da Sagrado a Ronchi — sei o sette chilometri — non trovai alcun mezzo di trasporto. Giunsi lo stesso, però. E giunsi presto!

All’ingresso dell’Ospedaletto — situato in una bella palazzina rimessa a nuovo dopo le «ingiurie» della guerra — mi si precluse il passaggio.

Il sottufficiale d’ispezione aveva una consegna