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170 benito mussolini


6 Dicembre.


Stanotte, il mio compagno mi ha svegliato bruscamente.

— «Cristiga»! Siamo in mezzo all’acqua! —

Accendo un mozzicone di candela. Il ricovero è inondato e l’acqua vien giù a catinelle. Ci proviamo a vuotare la tana con le gavette, ma è fatica inutile. Ci decidiamo a mettere tre tavole in alto e lì ci distendiamo — bagnati fradici — ad attendere l’alba. D’ora in ora, si accendeva un fiammifero, per constatare la crescita dell’acqua. Finalmente, l’alba. Verso Aquileia, c’è un vasto tratto di sereno, ma dietro a noi, verso l’Austria, il cielo è cupo. Se venisse il sole! Il buon giorno ci è stato dato stamane dai cannoni austriaci: tre colpi di piccolo calibro finora. Comincia il solito martellamento dei nostri. Quando piove, nelle trincee del lago di Doberdò, si sta peggio che sull’Adamello in una notte di tormenta. Queste sono trincee costruite sotto il fuoco dei cannoni e risentono dell’improvvisazione. Sono muretti di sassi. I dispersi: ce ne uno, nostro: un bersagliere ciclista caduto colla faccia protesa in avanti mentre andava all’assalto. Vicino a lui, il moschetto con la baionetta innastata. E’ là, solitario. Perchè nessuno si cura di seppellirlo? Forse per conservare alla famiglia un’ultima illusione sul «disperso»? Un po’ di sole. Bombardamento pomeridiano inevitabile. Loro tirano sul Kri-Kri, sul rovescio di quota 208, e nella selletta fra prima e seconda linea nostra.

Verso la pianura s’inalzano adagio adagio tre