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134 | benito mussolini |
se non avranno il coraggio — a un dato momento — di «scoprirsi» e di affrontare la morte. Non si può giudicare il «morale» dei soldati da un semplice episodio o da un contatto occasionale. Il gesto di un soldato vi può far credere che tutto l’esercito sia composto di eroi, la parola di un altro vi può far pensare esattamente il contrario. L’errore della «generalizzazione» è quello nel quale cadono coloro che parlano di «morale» senza aver vissuto coi soldati ed essendosi limitali, invece, ad una rapida visita o ad un fugace colloquio. Il «morale» dei soldati in prima linea è diverso da quello dei soldati delle retrovie; le classi anziane e le classi giovani hanno un «morale» diverso; i soldati contadini presentano differenze di «morale» in confronto dei soldati nati e vissuti nelle città.
Il «morale» dei soldati che hanno battuto le vie del mondo, è più alto di quello dei soldati che non mossero mai piede oltre la cerchia del borgo natio; le sfumature sono infinite, come innumerevoli sono i tipi umani. Rivendico il diritto di trattare la questione, perchè ho «studiato» coloro che mi circondano, che dividono meco il pane, il ricovero, i disagi, i pericoli; ho «sorpreso» i loro discorsi, fissati i loro atteggiamenti spirituali e nelle più svariate contingenze di tempo e di luogo che la guerra impone al soldato: in prima linea e in seconda linea; in trincea e in riposo; durante il fuoco, prima e dopo il fuoco; nel treno attrezzato; all’ospedale, nelle tradotte; al deposito di rifornimento, durante le marce di giorno e di notte; sotto la pioggia, sotto la neve, sotto la mitraglia...