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rialismo storico, secondo il quale la storia delle civiltà umane si spiegherebbe soltanto con la lotta d’interessi fra i diversi gruppi sociali e col cambiamento dei mezzi e strumenti di produzione. Che le vicende dell’economia — scoperte di materie prime, nuovi metodi di lavoro, invenzioni scientifiche — abbiano una loro importanza, nessuno nega, ma che esse bastino a spiegare la storia umana escludendone tutti gli altri fattori è assurdo: il fascismo crede ancora e sempre nella santità e nell’eroismo, cioè in atti nei quali nessun motivo economico — lontano o vicino — agisce. Negato il materialismo storico, per cui gli uomini non sarebbero che comparse della storia, che appaiono e scompaiono alla superficie dei flutti, mentre nel profondo si agitano e lavorano le vere forze direttrici, è negata anche la lotta di classe, immutabile e irreparabile, che di questa concezione economicistica della storia è la naturale figliazione, e soprattutto è negato che la lotta di classe sia l’agente preponderante delle trasformazioni sociali. Colpito il socialismo in questi due capisaldi della sua dottrina, di esso non resta allora che l’aspirazione sentimentale — antica come l’umanità — a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le sofferenze e i dolori della piú umile gente. Ma qui il fascismo respinge il concetto di «felicità» economica, che si realizzerebbe socialisticamente e quasi automaticamente a un dato momento dell’evoluzione dell’economia, con l’assicurare a tutti il massimo di benessere. Il fascismo nega il concetto materialistico di «felicità» come possibile e lo abbandona agli economisti della prima metà del ’700; nega cioè l’equazione benessere-felicità, ché convertirebbe gli uomini in animali di una cosa sola pensosi: quella di essere pasciuti e ingrassati, ridotti, quindi, alla pura e semplice vita vegetativa.

Dopo il socialismo, il fascismo batte in breccia tutto il complesso delle ideologie democratiche e le respinge, sia nelle loro premesse teoriche, sia nelle loro applicazioni o strumentazioni pratiche. Il fascismo nega che il numero, per il semplice fatto di essere numero, possa dirigere le società umane; nega che questo numero possa governare attraverso una consultazione periodica; afferma la disuguaglianza irrimediabile e feconda e benefi-