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lenza, e che raccoglieranno tempesta. Per ora divenir tedeschi ed essere privi di ogni diritto è per i belgi la stessa cosa.

Chi come il nostro Cancelliere ha dichiarato all’umanità, che necessità non ha legge, ha perduto il diritto di irritarsi moralmente per l’insidia dei franchi tiratori. Anche questi sono in necessità. Noi non abbiamo avuto alcun riguardo ai trattati; non possiamo aspettarci dagli altri popoli una condotta verso di noi diversa da quella da noi tenuta. Ma col nostro punto di vista non riusciremo. C’è un elemento morale nello sviluppo dell’umanità, che ci vincerà, quanto più noi lo offendiamo.

Ora imparo a conoscere bene i miei concittadini. Ora comprendo lo scherno di uno dei nostri diplomatici che, volendo caratterizzare un ambasciatore olandese, mi diceva: “Questo è un uomo che crede alla santità dei trattati, come se fosse questa l’ultima parola„.

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La Francia cavalleresca.

1 settembre.

Si legge che la flotta francese del Mediterraneo salutò con tamburi e bandiere a mezz’asta la nave austriaca Zenta, affondata dopo eroica lotta. “Teatro„, mi disse qualcuno sprezzantemente. Io vedo in ciò un sentimento cavalleresco, che preserva dal completo imbarbarimento, una certa rispettosa imparzialità, un tentativo di riconciliarsi coll’avversario cadente, di mostrarsi liberi di odio e di gioia malvagia. Colle parole “superfluo e inutile„ non si giudicano simili gesti del nemico. Un’altra volta essi possono portare una grande benedizione, e forse saremo allora riconoscenti di cuore che un tale “teatro„ ci venga offerto.

Ancora il Dio tedesco.

Le invocazioni e le esaltazioni di Dio non cessano. Non v’è dispaccio, in cui l’imperatore non dica che Dio ha aiutato, aiuterà, dovrà aiutare, il Dio dei cristiani, il Dio tedesco, il Dio delle battaglie, che non abbandona la causa giusta. Che cosa dirà egli, se si perdesse la guerra? Farà altre frasi, o parlerà della prepotenza del nemico, del tradimento degli amici, degli errori della politica