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brutali quando facevano della politica, crudeli dove dominavano, privi di scrupoli negli affari, insignificanti e rigidi quando insegnavano, inabili e pretensiosi dove si intromettevano, privi di gusto negli acquisti, ridicoli quando volevano sembrare distinti, vili quando si tratta di convinzione individuale, privi di sincerità quando dovrebbero farsi credere, striscianti quando vorrebbero imparare, ingiusti quando giudicano di cose straniere. Erano considerati come una peste, ed anzi i più ricchi e quelli in posizione più elevata tra essi destavano la maggiore antipatia. Il tedesco semplice, di vecchio stampo, veniva sopportato, perchè non disturbava. Tutto ciò ogni tedesco lo sentiva; anche se egli non aveva passati i confini, sapeva che il tedesco dappertutto all’estero era sgradito, che lo si evitava o ci si turava il naso dinanzi ad esso.
Era questa una terribile discordanza, perchè in patria coloro che davano il tono facevano come se il popolo tedesco illuminasse il mondo intero e ne costituisse l’ideale futuro: la sua morale, la sua forza, i suoi principii, i suoi fini erano più alti e più profondi di quelli di ogni altro popolo. Veramente nessuno sapeva con precisione in quale rapporto ciò sussistesse, nessuno sentiva nel profondo della sua coscienza la verità di tali asserzioni. All’opposto ci si vedeva nella stessa Germania divisi nelle più forti opposizioni, ci si sentiva reciprocamente insopportabili; Sud e Nord, cattolici e protestanti, nobili, democratici e socialisti, l’imperatore e i principi della confederazione, e si potrebbe continuare all’infinito la lista di tali contrapposti.
Specialmente poi l’inconciliabilità dei polacchi, danesi, alsaziani e lorenesi mostrava al popolo tedesco, che nessuno straniero riconosceva la superiorità morale della tendenza tedesca dominante, che nessuno restava volentieri, voleva imparare, adattarsi, anzi neppure si piegava alla violenza, ma piuttosto affrontava il supplizio. Dove è dunque il grande pensiero, l’alto programma, la luce più chiara, che la Germania porta innanzi e che le dà diritto all’egemonia? ci si chiedeva. Noi lavoriamo molto e con metodo, siamo divenuti più agiati e abbiamo maggiori aspirazioni, ma abbiamo progredito di pari passo in ogni altro rapporto? Non avevamo forse nel tempo della maggior divisione politica e povertà economica maggior valore per la coltura universale, per il progresso del pensiero umanno, che non oggi?