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avite tradizioni, a questi null’altro possiamo dire se non che, ci è ben lecito preparare a nostra volta un egual corpo d’antichità ai nostri discendenti. Che se le Altezze Reali dei nostri giorni più non temono dallo sfavor della sorte di dover attignere acqua alle fonti colle mani, domiciliate a perpetuità nel guanto, come deplorava l'antica Andromaca; se il progresso delle arti mecaniche ha screditato le industrie d’Aracne; se i filatoj hanno detronizzato il fuso e la conocchia, e l’ago esso pure, già conteso alla donna dalle dita virili, sta ora per isfuggirle quasi affatto di mano ad accelerare indefinitamente il suo lavoro sotto l’azione d’un meccanismo; se in una parola, la trasformazione incessante subita da tutte le cose umane obbliga anche la donna a seguire quella corrente che non può rimorchiare, se non a patto d’ abolirsi, eredi di Crysale, qual colpa ne abbiamo noi?

Alla terza categoria appartengono, fra i nemici del sollevamento della donna (e li abbiamo già denunciati in lavori antecedenti al senso comune di giustizia) quei pseudodemocratici che, permalosi all’estremo per conto proprio, fieri rivendicatori d’ogni loro diritto, innovatori instancabili ed insaziabili per ogni loro meglio, quando trattasi d'altrui, facendosi d’un tratto conservatori, s’affibbiano gravemente la tonaca farisaica, abbassano la voce, diradano le parole, premono solennemente sugli accenti, distin-